Dall’emergenza alla governance: la nuova ideologia del controllo globale
Il potere non si presenta più con la divisa del tiranno ma con il camice del tecnico. La nuova forma di dominio parla la lingua dell’emergenza e della salvezza collettiva.
Roberto Bonuglia
11/10/20253 min read
Quando la pandemia è passata, molti hanno tirato un sospiro di sollievo, convinti che fosse finita anche la stagione delle eccezioni. Ma chi osserva con più attenzione si accorge che non è così: il modello d’emergenza, collaudato durante la crisi sanitaria, è stato semplicemente trasferito su altri fronti. La narrativa apocalittica del virus ha lasciato spazio a quella del clima, ma la logica resta identica: paura, consenso, commissariamento della realtà.
Non è un caso se figure come l’ex premier svedese Carl Bildt abbiano parlato della pandemia come di una “lezione utile per gestire le sfide future”, in primis il cambiamento climatico. Tradotto: lo stato d’eccezione come paradigma di governo. Ciò che era temporaneo diventa metodo; ciò che era straordinario diventa struttura.
La formula è la stessa: “Lo dice la Scienza”
L’apparato comunicativo che ha accompagnato la gestione della pandemia è tornato intatto, solo con un lessico aggiornato. “Contenimento”, “lockdown”, “distanziamento” sono stati sostituiti da “neutralità climatica”, “zero emissioni”, “transizione ecologica”. In entrambi i casi, la legittimazione politica passa attraverso una scienza divenuta dogma, un sapere chiuso che non ammette eresie.
Il richiamo costante al consenso scientifico è servito a neutralizzare ogni dissenso. Chi sollevava dubbi sulle misure sanitarie veniva etichettato come “negazionista”; oggi, chi discute i limiti del catastrofismo climatico è bollato come “climate denier”. È la stessa retorica, lo stesso meccanismo di esclusione.
Dietro l’autorità del dato si cela una nuova religione civile: il scientismo moralizzato. La verità non si cerca, si decreta. E la discussione non è più un confronto, ma un processo. La parola “scienza”, con l’articolo determinativo e la maiuscola d’obbligo – La Scienza™ –, diventa il lasciapassare del potere tecnocratico.
La globalizzazione come laboratorio del consenso
Come ho sostenuto in Dalla globalizzazione alla tecnocrazia (Bonuglia, 2022), la dissoluzione dello Stato-nazione non è un effetto collaterale della modernità, ma il suo obiettivo. La pandemia e la crisi climatica non sono che strumenti di un processo più profondo: la costruzione di una governance mondiale che sostituisce il principio democratico con la delega tecnica.
Le grandi organizzazioni sovranazionali – ONU, OMS, Corte Internazionale di Giustizia – si muovono ormai come un potere parallelo, capace di imporre “obblighi morali” che si traducono in vincoli politici. L’ultimo parere della Corte dell’Aia, che attribuisce ai Paesi responsabilità legali nei confronti del “sistema climatico”, segna un passo decisivo verso una nuova forma di diritto globale che supera gli ordinamenti nazionali in nome della “salvezza del pianeta”.
L’argomento è sempre lo stesso: un’emergenza planetaria che giustifica la sospensione della sovranità, la compressione delle libertà, l’accentramento delle decisioni. Ma chi decide cosa sia emergenza, e quando finisca?
Dalla paura alla virtù
La narrazione emergenziale non si limita a produrre obbedienza. Produce anche colpa. Durante la pandemia, l’invito a “restare a casa” divenne un test di virtù civica; oggi, l’imperativo di “salvare il pianeta” funziona allo stesso modo. La morale sostituisce la ragione. Si spinge la popolazione a identificare la propria obbedienza con il bene, e ogni dubbio con il male.
La tecnocrazia ha imparato la lezione dei totalitarismi del Novecento: non serve reprimere la libertà, basta convincere le persone a temerla. Così, dietro il volto rassicurante della sostenibilità, si nasconde una macchina perfettamente efficiente di controllo sociale. Non più dittature di partito, ma regimi di protocollo.
Il costo umano del governo dei numeri
L’ideologia del “Net Zero” e quella della “One Health” condividono un medesimo presupposto: la riduzione dell’uomo a variabile di sistema. Tutto ciò che sfugge alla misurazione – la coscienza, il dolore, la memoria, la differenza – è espulso dal linguaggio pubblico. La complessità del reale viene compressa in parametri: emissioni, curve, percentuali, grafici.
Ma la vita non è un algoritmo. La politica che si affida solo ai modelli matematici smette di occuparsi dell’uomo e comincia a gestire un archivio di dati. Non governa, calcola.
Eppure, dietro la freddezza dei numeri, si consuma una tragedia silenziosa: l’anestesia della responsabilità. Quando tutto è deciso “scientificamente”, nessuno è più responsabile. E così, nell’era della trasparenza totale, cresce il buio morale.
Sovranità e discernimento: la vera sfida del XXI secolo
Il nuovo ordine mondiale non nasce da un complotto, ma da una tendenza: l’idea che la complessità possa essere amministrata meglio da élite globali che da popoli sovrani. È una convinzione antica, rivestita oggi di tecnocrazia e filantropia.
Contro questo scenario, la risposta non è il rifiuto della scienza o del progresso, ma il recupero della libertà critica. La sovranità non è una bandiera da sventolare, ma la capacità di dire “no” quando la razionalità si trasforma in dogma.
E forse, oggi, l’atto più rivoluzionario non è opporsi al potere, ma riprendere a pensare.
Per approfondire
Bonuglia, R. (2022). Dalla globalizzazione alla tecnocrazia. Orientamenti di consapevolezza distopica del Terzo millennio. Torino: Larsen Edizioni.
Del Noce, A. (1978). Il suicidio della rivoluzione. Milano: Rusconi.
Agamben, G. (2020). A che punto siamo? L’epidemia come politica. Roma: Quodlibet.
Mora, A. (2024). L’illusione verde. Ecologia e potere nell’età della paura. Milano: Guerini.
