La libertà tradita. Dalla coscienza alla connessione

La libertà non si perde in un colpo solo: si consuma lentamente, ogni volta che rinunciamo a pensare con la nostra testa.

Roberto Bonuglia

11/5/20255 min read

black metal frame in grayscale photography
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C’è una forma di prigionia che non ha bisogno di catene. È quella che si ammanta di libertà, che ci illude di scegliere mentre sceglie per noi, che ci promette l’autonomia mentre ci addestra alla dipendenza.

Viviamo immersi in un mondo che pronuncia la parola “libertà” con la stessa leggerezza con cui clicca un consenso digitale. La libertà è diventata una schermata da accettare, un contratto invisibile che firmiamo ogni giorno pur di restare connessi. È così che il concetto più alto della civiltà occidentale è scivolato lentamente verso la sua caricatura: dalla coscienza alla connessione, dall’autodeterminazione alla sorveglianza partecipata.

La libertà, un tempo, era conquista interiore. Oggi è un prodotto di mercato. Eppure, dietro l’apparente progresso di questa evoluzione, si nasconde la più antica delle servitù: quella dell’uomo che ha smarrito il proprio centro.

Le radici di un’idea: la libertà come destino umano

La storia della libertà è la storia stessa dell’uomo. Aristotele la legava alla phronesis, la prudenza del giudizio che consente di scegliere il bene; Agostino la trasformò in libertà interiore, come capacità di volere secondo Dio e non secondo l’istinto; Kant la rese legge morale, “autonomia della volontà”, principio universale dell’agire; Hegel la sublimò nello Spirito, che si riconosce libero solo realizzandosi nella storia.

Poi arrivò Gentile, che, nella Nuova Politica Liberale, restituì alla libertà la sua dimensione più alta: quella di metodo, non di privilegio. “Non una pigra affermazione di tutte le libertà sino al suicidio della libertà, ma la libertà come metodo perenne di politica” (Gentile, 1925).

Per secoli la libertà è stata una conquista lenta, personale, faticosa. Non era un diritto concesso, ma una forma di disciplina morale. Era — come avrebbe detto Guardini (1950) — “l’atto con cui l’uomo si eleva al di sopra delle forze che lo spingono”, cioè il gesto che lo distingue dal mero istinto. Ma ogni conquista autentica porta in sé un rischio: quello di essere dimenticata.

Il fraintendimento moderno: libertà come arbitrio

Con l’avvento della modernità, l’idea di libertà ha cominciato a mutare volto. L’uomo si è scoperto padrone di sé, ma ha confuso il dominio con l’arbitrio.

Da strumento di perfezionamento interiore, la libertà si è fatta rivendicazione esteriore; da conquista morale, è divenuta possesso politico. La Rivoluzione industriale, la società di massa, la secolarizzazione hanno accelerato questa deriva, trasformando la libertà in una moneta di scambio tra desiderio e potere.

In questa mutazione si nasconde ciò che Del Noce (1978) chiamava il suicidio della rivoluzione: l’atto con cui l’uomo, credendo di liberarsi, si consegna alle nuove forme di dominio che lui stesso ha creato.

È in questo punto che la libertà smette di essere un fine e diventa un mezzo — mezzo per produrre, per accumulare, per apparire. La libertà, svuotata di senso, si riduce a slogan, a bandiera, a hashtag.

La libertà nella società della tecnica

Nella civiltà della tecnica, la libertà non si reprime: si replica.

È l’illusione perfetta di un mondo che promette infinite possibilità ma toglie il significato alla scelta.

Come scrivevi in Dalla globalizzazione alla tecnocrazia, “la libertà 2.0 si è trasformata in una ragnatela digitale, in cui l’uomo si crede libero mentre è semplicemente connesso” (Bonuglia, 2022).

L’individuo, atomizzato e distratto, non ha più bisogno di essere controllato: si controlla da solo, convinto di esercitare un potere che in realtà subisce.

Baudrillard (1981) aveva intuito questa deriva: la libertà come simulacro, come immagine che sostituisce la realtà.

La società dello spettacolo e dei dati non impone: seduce.

Non censura: distrae.

È la libertà del consumo, della scelta illimitata che toglie il senso stesso di scegliere.

Siamo liberi di tutto, tranne che dal meccanismo che ci convince di esserlo.

Nel mondo tecnocratico, la libertà si misura in connessioni, in velocità, in accessi. È diventata prestazione.

E come ogni prestazione, produce ansia, competizione, isolamento.

L’uomo, che un tempo cercava di liberarsi dal peccato o dal dominio, oggi cerca di liberarsi dal tempo: e per farlo, si consegna alla macchina.

La libertà come responsabilità del pensiero

Se il pensiero critico analizza, il senso critico giudica.

E la libertà, senza giudizio, non è altro che automatismo.

È il punto in cui le tue opere — da Terze pagine a All’ombra della Vulgata — si incontrano con i grandi interpreti del Novecento: l’idea che la libertà non sia un diritto naturale, ma una responsabilità spirituale.

Croce (1932) lo aveva espresso con chiarezza: “la libertà non è un bene che si possiede, ma un principio che si esercita”.

Gentile, da parte sua, la trasformò in atto puro: l’uomo non è libero perché pensa, ma perché si pensa.

Ecco la differenza radicale tra libertà come condizione e libertà come consapevolezza.

La prima si può concedere, la seconda si deve costruire.

In questo senso, la libertà autentica non è mai garantita: è un cammino di autocontrollo, un continuo ritorno a sé.

Il paradosso del mondo connesso

La libertà moderna, privata di ogni radice spirituale, si è trasformata in pura orizzontalità.

Viviamo in un’epoca in cui tutto è simultaneo, accessibile, visibile — eppure nulla è davvero presente.

La connessione ha sostituito la comunione, la comunicazione ha preso il posto del dialogo, l’ego ha divorato il noi.

Siamo diventati, come scrive Ortega y Gasset (1930), “barbari del pensiero”, convinti che il progresso tecnico equivalga al progresso umano.

Ma non c’è libertà senza limite.

Il limite, lungi dall’essere negazione, è ciò che rende la libertà possibile: è la forma che dà senso al movimento, la regola che preserva il gioco.

L’uomo che rifiuta il limite non diventa libero, ma caotico.

E il caos — come ricordava Guardini (1950) — non è libertà, è dispersione.

La libertà come autocontrollo spirituale

Nell’orizzonte cristiano, la libertà non coincide con l’autonomia assoluta, ma con la capacità di orientare la volontà verso il bene.

È il dono più alto perché è anche il più fragile.

“L’autocontrollo” — ultimo dei nove frutti dello Spirito Santo (Gal 5,22-23) — ne rappresenta la forma più matura: la libertà che sa dominarsi.

Non quella che grida, ma quella che tace per comprendere; non quella che rompe, ma quella che custodisce.

È la libertà del discernimento, non del capriccio.

La libertà che nasce dal senso critico, dalla capacità di leggere la realtà senza subirne il fascino.

In un mondo che confonde la spontaneità con la sincerità, la libertà cristiana resta l’unica che salva l’uomo da se stesso.

La libertà come destino comune

La libertà, se resta individuale, muore.

Solo quando diventa comunione — o, come scrivevi, “autocoscienza del popolo” (Bonuglia, 2023) — si trasforma in destino collettivo.

Non è un bene privato, ma una vocazione condivisa.

E qui si chiude il cerchio: la libertà che nasce nello spirito deve tornare nella comunità, ma non come ideologia, bensì come responsabilità reciproca.

Horkheimer (1947) aveva colto il dramma della modernità: “La libertà senza verità diventa arbitrio, la verità senza libertà diventa dogma.”

La nostra epoca sembra aver scelto la prima forma di schiavitù: quella dell’arbitrio travestito da libertà.

Eppure, basterebbe tornare alla radice per ritrovare l’equilibrio: libertà come coscienza, come misura, come capacità di dire “no” al superfluo per restare fedeli all’essenziale.

Conclusione: la libertà come prova del senso critico

Essere liberi, oggi, non significa rifiutare le regole, ma riconoscere quelle che ancora meritano di essere seguite.
Non significa rivendicare diritti, ma ricordare doveri.
Non significa fare tutto, ma scegliere ciò che ha valore.

La libertà non è mai un punto di partenza: è un punto d’arrivo.
Si conquista, si perde, si riconquista ancora — come una forma di grazia che passa attraverso la consapevolezza.
In fondo, non è la libertà che salva l’uomo: è l’uomo, ogni volta che la comprende, che salva la libertà.

Per approfondire

Bonuglia, R. (2022). Dalla globalizzazione alla tecnocrazia. Orientamenti di consapevolezza distopica del Terzo millennio. Torino: Larsen Edizioni.
Bonuglia, R. (2023). All’ombra della Vulgata. Pagine epurate e distorsioni storiografiche nel Regno di Clio. Roma: Aracne.
Bonuglia, R. (2023). Terze pagine. Biografismi e storie all’ombra di Clio. Lecce: Youcanprint.
Del Noce, A. (1978). Il suicidio della rivoluzione. Milano: Rusconi.
Gentile, G. (1925). La nuova politica liberale. Firenze: Vallecchi.
Baudrillard, J. (1981). Simulacres et simulation. Paris: Galilée.
Guardini, R. (1950). La fine dell’epoca moderna. Brescia: Morcelliana.
Horkheimer, M. (1947). Eclisse della ragione. Torino: Einaudi.
Ortega y Gasset, J. (1930). La rebelión de las masas. Madrid: Revista de Occidente.
La Sacra Bibbia, Lettera ai Galati 5,22-23.