L’era della tecnocrazia: quando la scienza smette di cercare la verità e inizia a fabbricarla
Non è più la politica a governare la scienza. È la scienza, o meglio la sua caricatura tecnocratica, a dettare ciò che è politicamente ammissibile.
Roberto Bonuglia
11/7/20253 min read
Da qualche anno viviamo dentro una parabola perfetta. Mentre il mondo digitale amplifica ogni voce, il pensiero si assottiglia, si piega, si autocensura. In nome della “verità scientifica” — che non è più una ricerca ma una formula — si prescrive cosa si possa dire, credere, pubblicare. Il potere non si impone più con la forza: si traveste da evidenza.
Così, il dibattito pubblico non è stato solo impoverito; è stato sostituito da un linguaggio tecnico, asettico, apparentemente neutrale, che nasconde dietro l’autorità del dato un nuovo tipo di dominio.
Non è più la politica a governare la scienza: è la scienza, o meglio la sua versione tecnocratica, a dettare ciò che è politicamente tollerabile. Si tratta di un passaggio storico, e quasi nessuno lo ha notato. La tecnocrazia non ha bisogno di manganelli o propaganda: le bastano algoritmi, protocolli, comitati di esperti. Ha la freddezza della formula matematica e la violenza del decreto amministrativo.
Nel suo libro Dalla globalizzazione alla tecnocrazia (Bonuglia, 2022), Roberto Bonuglia descrive con lucidità questa mutazione: il passaggio da un’economia che cercava il profitto a un sistema che pretende di definire il reale. La tecnica, scrive, non è più un mezzo ma una visione del mondo. E in quella visione, l’uomo smette di essere misura delle cose per diventare variabile tra le altre, materiale biologico gestito da apparati di controllo globale.
Il nuovo dogma: la fede nei dati
La pandemia è stata il grande laboratorio di questa religione secolare. Non serviva più credere in Dio, bastava credere nel grafico. Il dubbio, fondamento di ogni metodo scientifico, è stato sostituito dalla retorica del consenso. E chi provava a chiedere “perché?” veniva tacciato di eresia, come accadeva un tempo nei tribunali dell’Inquisizione.
La differenza è che oggi il tribunale è digitale, le condanne sono algoritmiche e l’esilio si chiama “deplatforming”.
Il filosofo Augusto Del Noce aveva previsto tutto: “Il tratto essenziale del totalitarismo moderno non è la violenza, ma l’identificazione della realtà con ciò che è tecnicamente possibile.” La nuova ideologia del progresso si nutre di questa confusione. Scambia il funzionare per il vero, la connessione per la conoscenza, l’efficienza per la giustizia.
È una forma di nichilismo travestita da scienza, dove il bene coincide con l’utile e la verità con il verificabile.
Non si tratta di negare la scienza, ma di salvarla da chi la riduce a strumento di potere. La scienza autentica vive del confronto, della revisione, dell’errore; la tecnocrazia, invece, vive del consenso, del silenzio, della paura.
La prima si fonda sul limite, la seconda sull’illusione dell’infallibilità.
Dall’uomo pensante all’uomo conforme
Nel nuovo ordine tecnocratico, l’individuo non è più cittadino ma utente. Il pensiero non è più un diritto, ma un rischio da contenere. La parola “libertà” sopravvive nel lessico politico, ma svuotata del suo significato: non indica più la capacità di scegliere, ma quella di aderire senza resistenza alle direttive del sistema.
È il paradosso del nostro tempo: crediamo di essere liberi perché possiamo parlare, ma ogni parola è filtrata da un algoritmo che decide quanto vale.
La tecnocrazia non censura apertamente: calibra, corregge, orienta. Trasforma la società in una grande piattaforma dove ogni gesto, ogni opinione, ogni desiderio diventa un dato da analizzare e governare. È la perfezione del controllo, perché è volontaria. Nessuno ci obbliga a cedere la nostra libertà: siamo noi stessi a consegnarla, in cambio di efficienza, comfort, sicurezza.
L’illusione del progresso
La fede cieca nella tecnologia è il volto contemporaneo dell’utopia. Si promette un mondo più razionale, più sicuro, più giusto, ma si finisce per costruire una gabbia invisibile. Lo scientismo, come spiegava Del Noce, è un totalitarismo dell’immanenza: nega ogni dimensione spirituale, riduce l’uomo al suo metabolismo, la comunità al suo sistema di dati.
Eppure, ciò che rende umano l’uomo è proprio ciò che sfugge alla misurazione: il dubbio, la pietà, la memoria, la contraddizione.
Il rischio, oggi, non è che la scienza diventi disumana, ma che l’uomo smetta di essere umano in nome della scienza.
Per approfondire
Bonuglia, R. (2022). Dalla globalizzazione alla tecnocrazia. Orientamenti di consapevolezza distopica del Terzo millennio. Torino: Larsen Edizioni.
Del Noce, A. (1978). Il suicidio della rivoluzione. Milano: Rusconi.
Agamben, G. (2020). A che punto siamo? L’epidemia come politica. Roma: Quodlibet.
Postman, N. (1985). Amusing Ourselves to Death: Public Discourse in the Age of Show Business. New York: Viking Penguin.
