L’etica anestetizzata: quando la morale si piega al potere scientifico
Nel nome del “bene comune”, l’etica si è fatta strumento del potere: non più custode della dignità umana, ma giustificazione della sua manipolazione.
Roberto Bonuglia
11/14/20253 min read
C’è un momento in cui ogni civiltà smette di interrogarsi e inizia ad autogiustificarsi. Il nostro sembra arrivato. Dopo la politica e la religione, anche l’etica è entrata nel dominio della tecnocrazia. Non è più il luogo della scelta, ma della prescrizione; non più il campo della responsabilità, ma della conformità.
L’articolo apparso di recente su Bioethics — intitolato Beneficial Bloodsucking e firmato da due accademici americani — ne è un sintomo inquietante. Sostiene, con serietà disarmante, che sarebbe “moralmente obbligatorio” diffondere una malattia che renda gli esseri umani allergici alla carne rossa, perché smettere di mangiarla ridurrebbe l’impatto ambientale e favorirebbe una società più “virtuosa”. La follia è servita come teoria.
Ciò che un tempo avremmo riconosciuto come un paradosso o una provocazione accademica oggi diventa argomento di policy. La bioetica, nata per difendere la libertà del paziente e il principio del consenso informato dopo gli orrori del Novecento, sembra aver imboccato la via opposta: quella di un moralismo coercitivo che giustifica ogni intervento “a fin di bene”.
Dal consenso all’obbedienza
Durante la pandemia lo abbiamo visto chiaramente. Il consenso informato — pilastro della medicina moderna e conquista della civiltà giuridica — è stato sospeso, sostituito dalla persuasione di massa e dalla minaccia morale. “Vaccinarsi è un dovere”, “chi rifiuta mette in pericolo gli altri”: lo slogan ha soppiantato l’argomentazione.
Come scrive Robert Malone nel suo saggio per il Brownstone Institute, l’idea che lo Stato o la maggioranza possano imporre un trattamento medico in nome del bene collettivo rappresenta una regressione etica. È la stessa logica che, portata alle estreme conseguenze, giustificò gli esperimenti dei medici nazisti: la convinzione che un fine superiore possa rendere lecita la violazione della persona.
Da allora, il principio di Norimberga — nessun intervento senza consenso — doveva essere il confine invalicabile della medicina democratica. Eppure, sotto la pressione dell’emergenza, quel confine si è fatto elastico.
La nuova morale del “bene obbligatorio”
Il paradosso contemporaneo è che l’etica, anziché limitare il potere, gli fornisce un alibi. L’argomento utilitarista — “il bene della maggioranza” — è tornato a giustificare imposizioni sempre più invasive. Si passa dalle iniezioni obbligatorie ai progetti di “moral bioenhancement”: modificare biologicamente l’uomo per renderlo più virtuoso, meno aggressivo, più conforme ai modelli socialmente desiderabili.
In nome dell’uguaglianza si manipola l’individuo, in nome della salute si sospende la libertà, in nome della morale si distrugge la responsabilità. È l’etica dei laboratori, dove il bene è un protocollo e il male è solo una deviazione statistica.
Si chiama “woke bioethics”, ma la radice è antica: è la tentazione prometeica di rifare l’uomo a immagine dell’ideologia dominante.
Quando il bene diventa amministrativo
L’aspetto più inquietante non è l’eccesso ideologico, ma la sua normalizzazione istituzionale. Le grandi associazioni professionali, come l’American Academy of Pediatrics, sostengono ormai la cancellazione di ogni esenzione non medica ai vaccini infantili e promuovono il concetto di “cura morale obbligatoria”. Nel linguaggio burocratico della salute pubblica si annida una forma di potere silenziosa e pervasiva, che decide chi è “virtuoso” e chi è “deviato”.
Questa logica, scrive Malone, è la negazione stessa dell’etica. Una società che accetta la coercizione come strumento di miglioramento morale non è più libera: è solo disciplinata.
Recuperare l’etica del limite
Di fronte a questa deriva, il compito non è demolire la scienza o rifiutare il progresso, ma restituire all’etica la sua funzione originaria: dire “no” quando tutto invita a dire “sì”.
L’etica non è una scienza della perfezione, ma una difesa dell’imperfezione. È la consapevolezza che la libertà comporta rischio, che il bene non si impone ma si sceglie, e che l’uomo, proprio perché fallibile, non deve mai essere trattato come mezzo per un fine, neppure il più nobile.
Contro la nuova bioetica del consenso forzato serve una rinascita del pensiero critico: non più “fare il bene” secondo gli algoritmi del potere, ma pensare il bene alla luce della coscienza.
Per approfondire
Bonuglia, R. (2022). Dalla globalizzazione alla tecnocrazia. Orientamenti di consapevolezza distopica del Terzo millennio. Torino: Larsen Edizioni.
Del Noce, A. (1978). Il problema dell’ateismo. Bologna: Il Mulino.
Malone, R. (2025). “Woke Bioethics Tyranny.” Brownstone Institute.
Jonas, H. (1979). Il principio responsabilità. Torino: Einaudi.
